Dall’Europa nuove regole per i farmaci emergenziali

Giovedì 25 ottobre è stato approvato al Parlamento Europeo una revisione del regolamento (CE) n. 726/2004 che istituisce procedure comunitarie per l’autorizzazione e la sorveglianza dei medicinali per uso umano e veterinario. Nulla di strano diremmo, ma l’introduzione dell’articolo 14 bis mi lascia alquanto perplesso:

“Articolo 14 bis

1. In casi debitamente giustificati, per rispondere a esigenze mediche insoddisfatte dei pazienti, può essere rilasciata un’autorizzazione all’immissione in commercio, prima della presentazione di dati clinici dettagliati, per medicinali volti a trattare, prevenire o diagnosticare malattie gravemente invalidanti o potenzialmente letali, a condizione che i benefici derivanti dalla disponibilità immediata sul mercato del medicinale in questione superino il rischio dovuto al fatto che sono tuttora necessari dati supplementari. In situazioni di emergenza l’autorizzazione all’immissione in commercio di tali medicinali può essere rilasciata anche in assenza di dati preclinici o farmaceutici completi.

La lettura di questo articolo mi sembra in linea con ciò che sta succedendo in campo vaccinale e sembrerebbe dare copertura legislativa alla produzione di vaccini sperimentali per le cosiddette “emergenze“.

Dicono che per i vaccini valgono le stesse regole che per i farmaci normali, sarà vero? Sarà sempre così? Io qua già vedo una corsia preferenziale.

Se poi consideriamo che la ricerca farmaceutica sta andando verso i farmaci biotecnologici, con grossi problemi di purificazione, come faranno a testarli dato che saranno farmaci personalizzati? Cioè fatti apposta per quella persona.

Questa norma sembra fatta per sostenere la nascita di questi nuovi farmaci come gli anticorpi monoclonali e i nuovi vaccini biotecnologici.

Ad oggi c’è già una linea guida dedicata ai farmaci “particolari” che prevede una deroga presente nell’articolo 14 comma 8 del regolamento 726/2004. Pare che non sia sufficiente.

Mi vien da chiedere è nato prima l’uovo o la gallina (Regolamentazione o Lobby Farmaceutica)?

Ivan Catalano

Vaccinazione: per la Commissione Europea lo scoglio è la reticenza, per me è una questione di diritto

La Commissione Europea è stata investita dal Parlamento Europeo del compito di elaborare delle raccomandazioni per i paesi membri circa le vaccinazioni. La preoccupazione di base è che i cittadini sono reticenti. La commissione non ne comprende i motivi, anzi cerca di dare risposte che in realtà fanno parte di una narrazione sempre uguale.

Ciò che viene suggerito nella comunicazione COM(2018)245 è “standardizzare“. Non viene affrontato il punto cruciale, ovvero che la vaccinazione è un atto di Libera Scelta Terapeutica, nonostante tutte le bellissime premesse che vengono fatte. Per la Commissione tutto il problema è legato alle Fakenews, infatti nella comunicazione sul tema c’è un paragrafo che rimanda ad una nota (la numero 5) che punta, appunto, alla raccomandazione sulle vaccinazioni.

La reticenza è data dall’esperienza delle persone e dei genitori i cui figli hanno subito danni in seguito alle vaccinazioni. Aumentando il numero, rendendo obbligatoria questa profilassi, è aumentato considerevolmente a loro volta. Il punto è che nessuno tutela chi viene danneggiato, anzi si tende a nascondere, a non ammettere e a non riconoscere. Con la relazione finale della commissione uranio ci siamo occupati di studiare sia la profilassi che i vaccini in se, e seppur in ambito militare, le raccomandazioni che abbiamo fatto sono mutuabili verso qualsiasi tipo di profilassi, anche quella civile.

Quando si parla di vaccinazione e di vaccini, si tende a discutere per massimi sistemi, in modo generalista, come se tutti i farmaci usati siano uguali, come se tutte le malattie che vorrebbero prevenire o debellare siano uguali e i risultati siano sempre gli stessi e vittoriosi. In realtà non è così, ogni malattia è differente, ogni farmaco è differente, persino per la stessa malattia il farmaco differisce in base alla marca, al lotto di produzione (quindi al periodo di produzione). Ma non si vuole mai andare a fondo perché si ha una fiducia cieca verso questo tipo di rimedio preventivo, verso la loro efficacia e capacità di eradicare malattie, cosa che è da dimostrare ogni volta. Dimostrare che un vaccino funziona non è come dimostrare che la Tachipirina funziona. Le condizioni che servono sono diverse e laddove si sono eseguiti studi con doppio cieco i risultati non sono stati molto soddisfacenti.

La Commissione si difende dietro al fatto che questi farmaci vengano “sottoposti a rigorosi test di pre- e post-concessione, in linea con la direttiva 2001/83 / CE  e il regolamento (UE) n. 726/2004” ma si dimentica di dire che l’UE non ha un controllo sulla sicurezza, in termini di come possano evitare di danneggiare i pazienti, in quanto i regolamenti e le direttive demandano alle case produttrici diversi test e auto-dichiarazioni sopratutto riguardanti i contaminanti presenti e la loro pericolosità, nonché i limiti di tollerabilità.

La stessa EMA da me sollecitata per avere risposta sui limiti di tollerabilità totale dei composti presenti in questi farmaci, come dichiarati dai produttori, e presenti nell’organismo del paziente al termine della profilassi militare, non ha saputo darmi risposte chiare e dirette su tutti i componenti.

La reticenza è giustificata e giustificabile. E’ legittima perché nessuno è in grado di assicurare l’efficacia e la sicurezza di questi farmaci.

Finché la Commissione rimarrà su questa posizione, così come il Parlamento, le persone continueranno ad avere ragione ad essere reticenti. L’Unione Europea non si può trasformare in una comunità illiberale. Non può ripetere errori storici basati sulla coercizioni nei trattamenti sanitari.

Ivan Catalano

Limiti di tollerabilità dei componenti per la profilassi vaccinale militare: l’EMA non riesce a rispondermi in modo chiaro

Il 12 Febbraio 2018 ho inviato all’EMA una richiesta mediante il loro portale diretto al cittadino, riguardo ai limiti di tollerabilità dei componenti dei vaccini, nell’essere umano. La comunicazione è stata classificata con questo codice ASK-38878. La risposta mi è pervenuta in data 20 marzo 2018 e la potete trovare a questo Link.

La lettera comincia con una precisazione da parte dell’Agenzia che afferma “For most of the substances for which you requested information, there are no European mandatory limits for vaccines for human use. For any medicine or vaccine, all constituents and quantities used must be justified with appropriate clinical and safety data”. Questa premessa conferma in parte le preoccupazioni che abbiamo avuto in commissione, circa la domanda: ma i quantitativi totali dei singoli componenti ricevuti con la profilassi completa, sono sicuri? Rientrano nei limiti di tollerabilità per il singolo farmaco?

Il resto della lettera cerca di trattare ogni tipologia di componente citando i riferimenti dove presenti. Da notare una considerazione: se i limiti fossero espliciti e facilmente reperibili, per tutti i 93 componenti citati, mi sarebbero stati scritti chiaramente, invece c’è un rimando continuo alla farmacopea europea che rende difficile trovare le risposte alle nostre domande. Questa mia considerazione è avvalorata dal fatto che laddove si conoscevano è stato espresso in modo chiaro.

Per quanto riguarda i Contaminanti, ovvero i residui, mi è stato risposto che la valutazione viene fatta attentamente in fase di AIC, analizzando il metodo con cui vengono rimossi durante il ciclo di produzione. Non c’è un valore limite ma si considera la bontà del metodo e se esso è coerente con la linea guida di riferimento. Per alcuni residui, invece, è sufficiente dimostrare che sono in atto controlli che assicurano la rimozione ad un livello accettabile, ma su discrezione sempre del produttore. Nella guida citata nella nota 7, c’è un passaggio importante dove si dice che: “Certain residuals such as residues of antibiotic, other antimicrobial agents, host cell proteins and some chemicals used in production of vaccines are known allergens with a potential for inducing undesirable  effects”, che conferma le preoccupazioni che la commissione ha avuto. Al termine della profilassi il militare entra in contatto con 93 componenti, alcuni potenzialmente tossici o scatenanti reazioni allergiche, note alla comunità scientifica.

Per quanto riguarda i limiti degli aminoacidi o altri prodotti da fermentazione, mi viene suggerito di cercare i limiti sul sito dell’EFSA, in quanto non ci sono limiti specifici per iniezione ma solo quelli per ingestione per via orale, che come noto non hanno la stessa validità. Nei limiti di tollerabilità viene infatti presa in considerazione la modalità di assunzione.

L’EMA è stata in grado di citare i limiti di alcuni elementi noti. 

Alluminio (2.5.13): massimo 1,25 mg
Calcio (2.5.14): massimo 1,3 mg
Formaldeide libera (2.4.18): massimo 0,2 g / L
Fenolo (2.5.15): massimo 2.5 g / L

Di questi quattro componenti parrebbe che l’unico ad eccedere i limiti, a seguito dell’intera profilassi, sia proprio l’Alluminio, che nella sua quantità massima teorica è di 8,72 mg, contro 1,25 mg dato come limiti per singola dose.

Per quanto riguarda il DNA cellulare ospite non ci sono limiti europei obbligatori uniformi che si applicano a tutti i prodotti medicinali. Dei limiti citati solo due ci riguardano: quello dell’epatite B, 10 pg e dell’epatite A, 100 pg. Noi abbiamo quantificato un totale di 200.004 pg di bacterically-DNA + Yest-DNA (non sappiamo se questa indicazione rispecchia quella indicata dall’EMA).

Per quanto riguarda il Thimerosal, L’EMA ha valutato la sicurezza in diverse occasioni. Nel suo ultimo position paper Il comitato scientifico dell’EMA, il CHMP, ha concluso che gli studi epidemiologici mostrano solamente che non c’è associazione tra la vaccinazione con vaccini contenenti thimerosal e specifici disturbi del neurosviluppo. Tuttavia, EMA ha ribadito che, in linea con l’obiettivo globale di ridurre l’esposizione al mercurio, lo sviluppo di vaccini senza tiomersale o con i livelli più bassi possibili di thiomersal e altri componenti a base di mercurio dovrebbe continuare a essere promosso (questa indicazione è in linea con la nostra raccomandazione di vaccini più puliti). Quando l’uso di thimerosal come conservante è necessario quindi, i livelli di residui devono essere inferiori a 40 nanogrammi nel prodotto finito, il CHMP ha ritenuto che in questa quantità non ci sono prove scientifiche che suggeriscano che tali livelli possano scatenare reazioni di ipersensibilità, il che non vuol dire che non vi possano essere reazioni per livelli differenti. Fortunatamente nei vaccini per la profilassi militare attualmente non è presente, ma prima del 2001 c’era una quantità rilevante anche di 1.000 maggiore rispetto a questo limite.

Per quanto riguarda componenti come l’albumina di siero bovino (BSA) è specificata per alcuni vaccini nella rispettiva farmacopea europea per es. vaccini contenenti antigeni di poliomielite inattivati ​​(50 ng per singola dose umana), per il vaccino contro la varicella (vivo), un BSA massimo di 0,5 μg per la dose. Nel nostro caso abbiamo una quantità totale teorica al termine di tutta la profilassi di 0,3345 μg, molto vicino al limite massimo.

Per quanto riguarda lo Squalene, è un componente di alcuni adiuvanti. Dal 1997, un vaccino antinfluenzale FLUAD, che contiene circa 10 mg di squalene per dose, è stato approvato nelle agenzie sanitarie in diversi paesi europei. Dai nostri conti risulta un totale di squalene al termine della profilassi di 9,75 mg. Quello che però preoccupa è che questa quantità di squalene presente negli antinfluenzali viene somministrata ad ogni ciclo di vaccinazione antinfluenzale che come sappiamo può essere annuale.

Questo è dunque quello che emerge da una prima lettura della lettera. Invito chiunque possa aiutarmi a dare qualche risposta in più a segnalarmi eventuali errori o migliorie nel contenuto di questo post.

Ivan Catalano

Fakenews, la posizione della Commissione Europea è Illiberale!

La prima cosa che mi salta all’occhio nella comunicazione della commissione europea sulle Fakenews, COM(2018)236, è che nel testo la parola “disinformazione” è citata ben 108 volte mentre “Fake news” una sola volta, escludendo le note. Questa non è cosa di poco conto. C’è una notevole differenza tra le due cose:

diinformazióne s. f. [comp. di dis-1 e informazione]. – 1. Diffusione intenzionale di notizie o informazioni inesatte o distorte allo scopo di influenzare le azioni e le scelte di qualcuno (per es., dei proprî avversarî politici, dei proprî nemici in un conflitto bellico, e sim.). 2.Mancanza o scarsità d’informazioni attendibili su un determinato argomento, e spec. su fatti e avvenimenti sui quali si dovrebbe essere informati.

La disinformazione quindi non è una notizia completamente falsa, ma una notizia inesatta, oppure una situazione di scarsità di fonti o di poca attendibilità, il che non vuol dire che sia falsa o inventata.

fake news loc. s.le f. pl. inv. Notizie false

La differenza quindi tra le due fattispecie sta proprio in questo fatto. La prima è giudicabile sulla base delle proprie fonti e proprio punto di vista, la seconda invece è proprio falsa, inventata ad hoc. (molto simile ad una diffamazione).

La comunicazione quindi parte dicendo che: “L’esposizione dei cittadini alla disinformazione su vasta scala, tra cui le informazioni fuorvianti o palesemente false, costituisce una grande sfida per l’Europa” quindi accomunandole pericolosamente. Sostanzialmente la disinformazione è un problema ma non è risolvibile dal legislatore, perché qualsiasi cosa faccia non farebbe altro che ledere i principi della libertà di opinione e di parola.  In una risoluzione di giugno 2017 il Parlamento europeo ha invitato la Commissione ad “analizzare nel dettaglio la situazione attuale e il quadro giuridico vigente relativo alle notizie false e a verificare la possibilità di un intervento legislativo per limitare la divulgazione e la diffusione di contenuti falsi (numeri 24 e 35)“.

Le soluzioni messe in campo per arginare il fenomeno che la Commissione propone e che giudico illiberali sono:

– l’uso di nuove tecnologie mirate a migliorare il modo in cui le informazioni sono prodotte e diffuse online.
– migliorare significativamente il vaglio delle inserzioni pubblicitarie;
– intensificare e dimostrare l’efficacia degli sforzi impiegati per chiudere i profili falsi;
– agevolare la valutazione del contenuto da parte dell’utente mediante indicatori di affidabilità delle fonti dei contenuti, sulla base di criteri oggettivi e approvati dalle associazioni di giornalisti, in linea con i principi e i processi giornalistici, la trasparenza in materia di proprietà dei media e con la verifica dell’identità;
– diluire la visibilità della disinformazione migliorando la reperibilità di contenuti affidabili;
– offrire alle organizzazioni e al mondo accademico autorizzati alla verifica dei fatti accesso alle piattaforme di dati (in particolare tramite interfacce per programmi applicativi), nel rispetto della privacy degli utenti, dei segreti commerciali e della proprietà intellettuale;

Questi primi punti mi fanno pensare che si voglia creare un filtro a ciò che l’utente può vedere e che questo filtro agisca fuori dal controllo dell’utente stesso, delegando ad altri il vaglio di ciò che deve vedere, secondo criteri decisi da altri, addirittura intromettendosi nella verifica dei fatti accedendo direttamente alle piattaforme. Questa è una violazione netta, mascherata da lotta alla disinformazione, ovvero ai punti di vista altrui e alla libertà altrui.

Quello che mi preoccupa maggiormente sono coloro che la commissione chiama: “verificatori di fatti“,  che si occupano di controllare e valutare la credibilità dei contenuti sulla base di fatti e prove, ma che necessariamente agiscono secondo la loro soggettività, perché non esiste nulla di oggettivo, persino un numero può venire interpretato anche solo leggendolo, tutto è relativo. Spesso questi controllori credono di avere la verità in tasca, perché dal loro punto di vista non esistono altre fonti, se non le loro, che possano confermare o smentire quanto scritto da qualcuno. Ma se una notizia è vera perché stabilito da un gruppo di persone la cui possibilità di aggiornamento è legata alla limitazione umana nel farlo, potrà accadere che molte notizie saranno classificate false o disinformazione fino a prova contraria. E nel frattempo?

La cosa che più mi fa sorridere è che si propone di usare l’intelligenza artificiale, sorvegliata da quella umana (?), per verificare, individuare ed etichettare la disinformazione, quindi demandando ad un software ciò che è giusto che tu veda o legga.

Le tecnologie emergenti continueranno a cambiare il modo in cui si producono e si diffondono le informazioni ma, sul lungo termine, potranno svolgere un ruolo centrale nella lotta alla disinformazione. A titolo esemplificativo:

l’intelligenza artificiale, sottoposta a un’adeguata sorveglianza umana, sarà fondamentale per verificare, individuare ed etichettare la disinformazione;

Ivan Catalano

Veicoli fuori uso: approvata risoluzione per adeguarsi ai veicoli elettrici

Il Parlamento Europeo ha approvato, lo scorso 18 aprile, la risoluzione con cui indica alla Commissione Europea, le modifiche da apportare alla bozza di direttiva COM(2015)593, che punta ad adeguare le direttive rispetto ai nuovi veicoli che saranno in circolazione per un loro smaltimento.

La proposta della commissione punta a raggiungere i seguenti benefici:

riduzione degli oneri amministrativi, in particolare per enti o imprese di piccole dimensioni, semplificazione e migliore attuazione anche attraverso obiettivi commisurati allo scopo;

creazione di posti di lavoro – entro il 2035 si potrebbero creare più di 170.000 posti di lavoro diretti, la maggior parte dei quali impossibili da delocalizzare fuori dall’Unione;

riduzione delle emissioni di gas a effetto serra – tra il 2015 e il 2035 si potrebbe evitare il rilascio di più di 600 milioni di tonnellate di gas a effetto serra;

–effetti positivi per la competitività dell’Unione nei settori della gestione e del riciclaggio dei rifiuti, nonché per il settore manifatturiero unionale (responsabilità estesa del produttore meglio definita, accesso alle materie prime meno incerto);

–reintroduzione nell’economia unionale di materie prime secondarie che, a sua volta, ridurrà la dipendenza dell’Unione dall’importazione di materie prime.

Appena nel mercato cominceranno ad arrivare un numero consistente di veicoli elettrici, ma anche di veicoli dotati di considerevole elettronica di bordo (veicoli a guida autonoma), gli stati membri dovranno affrontare il tema del corretto smaltimento e riuso delle apparecchiature elettroniche.

Ricordiamoci che la migliore strategia è quella del riutilizzo, riciclo e recupero, per lasciare lo smaltimento sempre e solo alla fine, in un’ottica di economia circolare.

Ivan Catalano

Combustibili Alternativi: è ora di agire!

La Direttiva 2014/94/UE  del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2014, sulla realizzazione di un’infrastruttura per i combustibili alternativi (DAFI) è stata recepita nella normativa nazionale con il D.Lgs. 16 dicembre 2016, n. 257. Ho parlato di questo argomento anche in questo articolo sul mio blog parlamentare.

Essa, con il fine di ridurre al minimo la dipendenza dal petrolio e attenuare l’impatto ambientale nel settore dei trasporti, fissa:

 – i requisiti minimi per la costruzione dell’infrastruttura per i combustibili alternativi, inclusi i punti di ricarica per veicoli elettrici e i punti di rifornimento di gas naturale (GNL e GNC) e idrogeno, da attuarsi mediante i Quadri strategici nazionali degli Stati membri;

 – le specifiche tecniche comuni per tali punti di ricarica e di rifornimento, e requisiti concernenti le informazioni agli utenti.

Obiettivo della direttiva è lo sviluppo di un mercato ampio di combustibili alternativi per il trasporto, che sono individuati in: elettricità, gas naturale e idrogeno. Ho fatto, in sede di discussione alla Camera dei Deputati nella, un approfondimento sul discorso dell’Idro-metano, che vi invito a leggere. Ciascun tipo di propellente è oggetto di una previsione normativa relativa alla sua distribuzione.

Mi soffermo sul discorso dei veicoli elettrici. Per l’elettricità, attraverso i rispettivi quadri strategici nazionali gli Stati membri garantiscono la creazione, entro il 31 dicembre 2020, di un numero adeguato di punti di ricarica accessibili al pubblico: ciò in modo da assicurare che i veicoli elettrici circolino almeno negli agglomerati urbani/suburbani e in zone densamente popolate o nelle reti stabilite tra Stati membri. Il numero di tali punti di ricarica è stabilito tenendo conto – tra l’altro – del numero stimato di veicoli elettrici che saranno immatricolati entro la fine del 2020 (indicato nei rispettivi quadri strategici nazionali) nonché delle migliori prassi e raccomandazioni formulate dalla Commissione. Il nostro paese ha già approvato il piano nazionale delle infrastrutture di ricarica e alcuni attori del mercato hanno cominciato a muoversi a riguardo. Anche la SEN2017 ha tra i suoi obiettivi l’installazione di una serie di colonnine di ricarica per veicoli elettrici.

La comunicazione della commissione europea COM(2017)652 che approderà in seduta plenaria al parlamento europeo nel prossimo inverno, 12/11/2018, fa il punto della situazione sull’attuazione della direttiva nei paesi membri. Restando sempre sul tema elettrico dice che tutti i piani nazionali dei paesi membri definiscono un’ampia gamma di misure di sostegno, ma permangono incertezze, riguardanti le politiche per aumentare i punti di ricarica. L’esigenza di ricaricare i punti di ricarica ad alta potenza in corrispondenza di ciascuna stazione di ricarica lungo la rete centrale TEN-T è vitale. Molte città e regioni europee sono all’avanguardia nella transizione verso una mobilità a basse emissioni e zero emissioni. Una parte significativa degli appalti pubblici è intrapresa dalle autorità municipali e locali. Ma anche le città affrontano sfide uniche. L’infrastruttura dei combustibili alternativi deve essere allineata alle esigenze infrastrutturali di altri modi di trasporto. Non è possibile per tutti gli utenti caricare i veicoli elettrici a casa. È quindi necessario proporre soluzioni per edifici residenziali e non residenziali o combinare impianti di ricarica con altre infrastrutture (ad esempio lampioni). Inoltre, devono essere valutati gli impatti della rete di infrastrutture lente e veloci.

I suggerimenti della commissione sono:

– utilizzare sempre più le possibilità di cofinanziamento di CF e FESR per la mobilità urbana sostenibile
– Le informazioni sui regimi di regolamentazione dell’accesso urbano dovrebbero essere rese più trasparenti.
– Le infrastrutture di ricarica nelle città dovrebbero essere rese disponibili per tutti i tipi di veicoli, comprese le soluzioni per le flotte di veicoli condivisi, per le biciclette elettriche e i veicoli a due ruote motorizzati.
– I consumatori necessitano di servizi di pagamento per la mobilità senza soluzione di continuità e interoperabili che dovrebbero essere basati su standard aperti e privi di diritti di proprietà intellettuale e royalties. (Il che mi ricorda una mia inziativa parlamentare che ha trovato accoglimento dal parlamento)
– Per garantire che i servizi di mobilità elettronica siano interoperabili in tutta l’UE è necessario identificare in modo univoco uno standard per gli attori della mobilità elettronica. È pertanto opportuno istituire un processo di registrazione basato su norme internazionali a livello dell’UE. Richiederà agli Stati membri di designare un’autorità competente a registrare codici di identificazione della mobilità elettronica unici. La Commissione valuterà quale meccanismo (ad esempio il CEF) è appropriato per contribuire all’istituzione di questo processo. Fornirà supporto per la raccolta delle informazioni mancanti relative all’attuazione dei regolamenti delegati di cui sopra. Potrebbe anche esaminare la necessità di supportare lo sviluppo di diverse soluzioni di roaming.

La commissione inoltre fa alcune osservazioni utili per l’integrazione tra l’infrastruttura di ricarica e la rete elettrica nazionale a cui deve agganciarsi:

– la ricarica (lenta) dei veicoli dovrebbe avvenire soprattutto quando le reti non sono limitate e viene generata energia sufficiente
–  una gestione intelligente della rete, quindi la gestione dei punti di ricarica, con la possibilità di una tariffazione intelligente che offre ai consumatori incentivi per l’imposizione in orari non di punta e offre agli operatori del sistema di distribuzione la possibilità di gestire attivamente la rete.

Ivan Catalano

WebTax, Stabile Organizzazione Digitale e Base Imponibile Comune: Verso l’unione fiscale?

Il Parlamento Europeo, giovedì 15 marzo 2018, ha votato in commissione ECOM (Problemi economici e monetari), la relazione sulla proposta di direttiva del Consiglio relativa a una base imponibile comune per l’imposta sulle società (COM(2016)0685 – C8-0472/2016 – 2016/0337(CNS)). Il testo definitivo, come approvato dagli emendamenti presentati, oltre ad offrire un aggiornamento del metodo di calcolo della base imponibile comune, introduce alcune novità, che ora la Commissione deve valutare, in conformità dell’articolo 293, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
La novità che mi preme di più fare notare, è quella relativa al concetto di Stabile organizzazione digitale.

stabile organizzazione digitale“, una presenza digitale significativa di un contribuente che presta, in una giurisdizione, servizi rivolti a consumatori o imprese in tale giurisdizione, conformemente ai criteri stabiliti nell’articolo 5, paragrafo 2 bis;

Il citato riferimento interno dice:

2 bis. Se un contribuente residente in una giurisdizione offre una piattaforma digitale, come un’applicazione elettronica, una banca dati, un mercato online o uno spazio di archiviazione, o fornisce accesso alla medesima, oppure offre un motore di ricerca o servizi pubblicitari su un sito web o in un’applicazione elettronica, si considera che tale contribuente abbia una stabile organizzazione digitale in uno Stato membro diverso dalla giurisdizione in cui è residente a fini fiscali se l’importo totale dei ricavi del contribuente o dell’impresa consociata dovuti alle transazioni a distanza generate dalle summenzionate piattaforme digitali nella giurisdizione in cui non è residente supera i 5 000 000 EUR l’anno e se è soddisfatta una delle seguenti condizioni:
a) almeno 1 000 utenti individuali registrati mensilmente, domiciliati in uno Stato membro diverso dalla giurisdizione in cui il contribuente è residente a fini fiscali, si sono collegati alla piattaforma digitale del contribuente o l’hanno visitata;
b) sono stati conclusi almeno 1 000 contratti digitali al mese con consumatori o utenti domiciliati in una giurisdizione diversa da quella di residenza in un esercizio fiscale;
c) il volume di contenuti digitali raccolti dal contribuente in un esercizio fiscale supera il 10 % dei contenuti digitali complessivi memorizzati dal gruppo.
Alla Commissione è conferito il potere di adottare atti delegati conformemente all’articolo 66 per modificare la presente direttiva adeguando i fattori di cui alle lettere a), b) e c) del presente paragrafo sulla base dei progressi conseguiti negli accordi internazionali.
Se, oltre alla soglia basata sui ricavi di cui al primo comma del presente paragrafo, per un contribuente in un dato Stato membro sono applicabili uno o più dei tre fattori digitali di cui alle lettere a), b) e c) del presente paragrafo, si considera che il contribuente abbia una stabile organizzazione in tale Stato membro.
Un contribuente è tenuto a comunicare alle autorità tributarie tutte le informazioni relative alla determinazione della stabile organizzazione o della stabile organizzazione digitale in conformità del presente articolo.

Questa innovazione fiscale comporta per una azienda che vuole competere a livello internazionale con un prodotto digitale, come descritto e con clienti in Europa, deve pagare le tasse nel paese membro nel quale rispecchia i requisiti richiesti.

Sono sufficienti questi criteri? 

Inoltre, Il 16 marzo 2011 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva per una base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società (CCCTB). La proposta, ancora all’esame del Consiglio, costituisce una delle iniziative REFIT della Commissione e mira a fornire alle imprese un insieme unico di norme in materia di imposta sulle società per operare in tutto il mercato interno. La proposta di CCCTB del 2011 consentirebbe pertanto alle imprese di considerare l’Unione come un mercato unico ai fini dell’imposta sulle società, facilitando in tal modo la loro attività transfrontaliera e promuovendo scambi e investimenti.

Occorre però che queste due direttive entrino in vigore simultaneamente, per evitare disallineamenti. Ma trattandosi di direttive ogni stato membro dovrà recepirle. Siamo sicuri che saranno in grado di recepirle tutti e 28 in tempi utili?

Io reputo i tentativi, compresi quelli dell’Italia di introdurre una WebTax per prelevare ricchezza dalle aziende digitali, sia un tentativo malriuscito e illiberale. Così come reputo che la tassazione al 3% del fatturato, ovvero una tassazione sull’utile presunto, partorita dalla commissione europea, ci porterà indietro nel diritto tributario di parecchi anni.

Ivan Catalano

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