WebTax, Stabile Organizzazione Digitale e Base Imponibile Comune: Verso l’unione fiscale?

Il Parlamento Europeo, giovedì 15 marzo 2018, ha votato in commissione ECOM (Problemi economici e monetari), la relazione sulla proposta di direttiva del Consiglio relativa a una base imponibile comune per l’imposta sulle società (COM(2016)0685 – C8-0472/2016 – 2016/0337(CNS)). Il testo definitivo, come approvato dagli emendamenti presentati, oltre ad offrire un aggiornamento del metodo di calcolo della base imponibile comune, introduce alcune novità, che ora la Commissione deve valutare, in conformità dell’articolo 293, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
La novità che mi preme di più fare notare, è quella relativa al concetto di Stabile organizzazione digitale.

stabile organizzazione digitale“, una presenza digitale significativa di un contribuente che presta, in una giurisdizione, servizi rivolti a consumatori o imprese in tale giurisdizione, conformemente ai criteri stabiliti nell’articolo 5, paragrafo 2 bis;

Il citato riferimento interno dice:

2 bis. Se un contribuente residente in una giurisdizione offre una piattaforma digitale, come un’applicazione elettronica, una banca dati, un mercato online o uno spazio di archiviazione, o fornisce accesso alla medesima, oppure offre un motore di ricerca o servizi pubblicitari su un sito web o in un’applicazione elettronica, si considera che tale contribuente abbia una stabile organizzazione digitale in uno Stato membro diverso dalla giurisdizione in cui è residente a fini fiscali se l’importo totale dei ricavi del contribuente o dell’impresa consociata dovuti alle transazioni a distanza generate dalle summenzionate piattaforme digitali nella giurisdizione in cui non è residente supera i 5 000 000 EUR l’anno e se è soddisfatta una delle seguenti condizioni:
a) almeno 1 000 utenti individuali registrati mensilmente, domiciliati in uno Stato membro diverso dalla giurisdizione in cui il contribuente è residente a fini fiscali, si sono collegati alla piattaforma digitale del contribuente o l’hanno visitata;
b) sono stati conclusi almeno 1 000 contratti digitali al mese con consumatori o utenti domiciliati in una giurisdizione diversa da quella di residenza in un esercizio fiscale;
c) il volume di contenuti digitali raccolti dal contribuente in un esercizio fiscale supera il 10 % dei contenuti digitali complessivi memorizzati dal gruppo.
Alla Commissione è conferito il potere di adottare atti delegati conformemente all’articolo 66 per modificare la presente direttiva adeguando i fattori di cui alle lettere a), b) e c) del presente paragrafo sulla base dei progressi conseguiti negli accordi internazionali.
Se, oltre alla soglia basata sui ricavi di cui al primo comma del presente paragrafo, per un contribuente in un dato Stato membro sono applicabili uno o più dei tre fattori digitali di cui alle lettere a), b) e c) del presente paragrafo, si considera che il contribuente abbia una stabile organizzazione in tale Stato membro.
Un contribuente è tenuto a comunicare alle autorità tributarie tutte le informazioni relative alla determinazione della stabile organizzazione o della stabile organizzazione digitale in conformità del presente articolo.

Questa innovazione fiscale comporta per una azienda che vuole competere a livello internazionale con un prodotto digitale, come descritto e con clienti in Europa, deve pagare le tasse nel paese membro nel quale rispecchia i requisiti richiesti.

Sono sufficienti questi criteri? 

Inoltre, Il 16 marzo 2011 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva per una base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società (CCCTB). La proposta, ancora all’esame del Consiglio, costituisce una delle iniziative REFIT della Commissione e mira a fornire alle imprese un insieme unico di norme in materia di imposta sulle società per operare in tutto il mercato interno. La proposta di CCCTB del 2011 consentirebbe pertanto alle imprese di considerare l’Unione come un mercato unico ai fini dell’imposta sulle società, facilitando in tal modo la loro attività transfrontaliera e promuovendo scambi e investimenti.

Occorre però che queste due direttive entrino in vigore simultaneamente, per evitare disallineamenti. Ma trattandosi di direttive ogni stato membro dovrà recepirle. Siamo sicuri che saranno in grado di recepirle tutti e 28 in tempi utili?

Io reputo i tentativi, compresi quelli dell’Italia di introdurre una WebTax per prelevare ricchezza dalle aziende digitali, sia un tentativo malriuscito e illiberale. Così come reputo che la tassazione al 3% del fatturato, ovvero una tassazione sull’utile presunto, partorita dalla commissione europea, ci porterà indietro nel diritto tributario di parecchi anni.

Ivan Catalano

Le cryptovalute, dovrebbero diventare vere valute?

Il 13 febbraio di quest’anno, la Banca Centrale Europea (BCE), ha pubblicato una brevissima nota dove spiega puntualmente perché le cryptovalute non sono vere e proprie valute reali.
Il Bitcoin – ci dice la BCE – è stato etichettato come moneta virtuale, un token digitale che può essere scambiato elettronicamente. Non esiste in forma fisica. I Bitcoin vengono creati e mantenuti traccia da una rete di computer che utilizza complesse formule matematiche, piuttosto che da un’unica autorità o organizzazione.

Wikipedia ci da una definizione simile: Una criptovaluta (o crittovaluta o criptomoneta) è una valuta paritaria, decentralizzata e digitale la cui implementazione si basa sui principi della crittografia per convalidare le transazioni e la generazione di moneta in sé.

Ma perché la BCE non ritiene che il Bitcoin (come le altre valute simili) non possano essere considerate valute reali? Le motivazioni sono 4:

non è bancabile, non è generalmente accettato come metodo di pagamento, chi la usa non è protetto ed è una valuta troppo volatile.

Cosa dovrebbe fare il sistema bancario di fronte a queste valute digitali? Cosa dovrebbe fare il Parlamento Europeo e Italiano?

Da liberale direi il meno possibile. Tutelare gli utenti vuol dire dargli un riconoscimento fiscale certo. Occorre trovare una regolamentazione che possa prevedere l’esistenza di altre tipologie di valute, come in questo caso le crypto che, come accadde a suo tempo le monete elettroniche, potrebbero dare un contributo significativo al mercato di beni e servizi, sia a livello europeo che internazionale.

Ivan Catalano

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