Fakenews, la posizione della Commissione Europea è Illiberale!

La prima cosa che mi salta all’occhio nella comunicazione della commissione europea sulle Fakenews, COM(2018)236, è che nel testo la parola “disinformazione” è citata ben 108 volte mentre “Fake news” una sola volta, escludendo le note. Questa non è cosa di poco conto. C’è una notevole differenza tra le due cose:

diinformazióne s. f. [comp. di dis-1 e informazione]. – 1. Diffusione intenzionale di notizie o informazioni inesatte o distorte allo scopo di influenzare le azioni e le scelte di qualcuno (per es., dei proprî avversarî politici, dei proprî nemici in un conflitto bellico, e sim.). 2.Mancanza o scarsità d’informazioni attendibili su un determinato argomento, e spec. su fatti e avvenimenti sui quali si dovrebbe essere informati.

La disinformazione quindi non è una notizia completamente falsa, ma una notizia inesatta, oppure una situazione di scarsità di fonti o di poca attendibilità, il che non vuol dire che sia falsa o inventata.

fake news loc. s.le f. pl. inv. Notizie false

La differenza quindi tra le due fattispecie sta proprio in questo fatto. La prima è giudicabile sulla base delle proprie fonti e proprio punto di vista, la seconda invece è proprio falsa, inventata ad hoc. (molto simile ad una diffamazione).

La comunicazione quindi parte dicendo che: “L’esposizione dei cittadini alla disinformazione su vasta scala, tra cui le informazioni fuorvianti o palesemente false, costituisce una grande sfida per l’Europa” quindi accomunandole pericolosamente. Sostanzialmente la disinformazione è un problema ma non è risolvibile dal legislatore, perché qualsiasi cosa faccia non farebbe altro che ledere i principi della libertà di opinione e di parola.  In una risoluzione di giugno 2017 il Parlamento europeo ha invitato la Commissione ad “analizzare nel dettaglio la situazione attuale e il quadro giuridico vigente relativo alle notizie false e a verificare la possibilità di un intervento legislativo per limitare la divulgazione e la diffusione di contenuti falsi (numeri 24 e 35)“.

Le soluzioni messe in campo per arginare il fenomeno che la Commissione propone e che giudico illiberali sono:

– l’uso di nuove tecnologie mirate a migliorare il modo in cui le informazioni sono prodotte e diffuse online.
– migliorare significativamente il vaglio delle inserzioni pubblicitarie;
– intensificare e dimostrare l’efficacia degli sforzi impiegati per chiudere i profili falsi;
– agevolare la valutazione del contenuto da parte dell’utente mediante indicatori di affidabilità delle fonti dei contenuti, sulla base di criteri oggettivi e approvati dalle associazioni di giornalisti, in linea con i principi e i processi giornalistici, la trasparenza in materia di proprietà dei media e con la verifica dell’identità;
– diluire la visibilità della disinformazione migliorando la reperibilità di contenuti affidabili;
– offrire alle organizzazioni e al mondo accademico autorizzati alla verifica dei fatti accesso alle piattaforme di dati (in particolare tramite interfacce per programmi applicativi), nel rispetto della privacy degli utenti, dei segreti commerciali e della proprietà intellettuale;

Questi primi punti mi fanno pensare che si voglia creare un filtro a ciò che l’utente può vedere e che questo filtro agisca fuori dal controllo dell’utente stesso, delegando ad altri il vaglio di ciò che deve vedere, secondo criteri decisi da altri, addirittura intromettendosi nella verifica dei fatti accedendo direttamente alle piattaforme. Questa è una violazione netta, mascherata da lotta alla disinformazione, ovvero ai punti di vista altrui e alla libertà altrui.

Quello che mi preoccupa maggiormente sono coloro che la commissione chiama: “verificatori di fatti“,  che si occupano di controllare e valutare la credibilità dei contenuti sulla base di fatti e prove, ma che necessariamente agiscono secondo la loro soggettività, perché non esiste nulla di oggettivo, persino un numero può venire interpretato anche solo leggendolo, tutto è relativo. Spesso questi controllori credono di avere la verità in tasca, perché dal loro punto di vista non esistono altre fonti, se non le loro, che possano confermare o smentire quanto scritto da qualcuno. Ma se una notizia è vera perché stabilito da un gruppo di persone la cui possibilità di aggiornamento è legata alla limitazione umana nel farlo, potrà accadere che molte notizie saranno classificate false o disinformazione fino a prova contraria. E nel frattempo?

La cosa che più mi fa sorridere è che si propone di usare l’intelligenza artificiale, sorvegliata da quella umana (?), per verificare, individuare ed etichettare la disinformazione, quindi demandando ad un software ciò che è giusto che tu veda o legga.

Le tecnologie emergenti continueranno a cambiare il modo in cui si producono e si diffondono le informazioni ma, sul lungo termine, potranno svolgere un ruolo centrale nella lotta alla disinformazione. A titolo esemplificativo:

l’intelligenza artificiale, sottoposta a un’adeguata sorveglianza umana, sarà fondamentale per verificare, individuare ed etichettare la disinformazione;

Ivan Catalano

Libertà di cura: addendum!

Tempo fà ho trattato il discorso sulla libertà di cura e ciò che per me vuol dire. Oggi però mi trovo a dover fare un addendum a quella mia riflessione. Per me la libertà di cura si associa ad una libertà di scelta più generale, che comprendere anche il diritto a decidere, in casi estremi, di poter porre fine alla propria via, vedi testamento biologico, ma anche essere liberi di scegliere di poter continuare a vivere #FinoAllaFine, vedi caso del piccolo Alfie.

Su questo tema, dell’essere “libero di” scegliere come curarsi, di restare in vita nonostante le poche speranze dei medici, di scegliere terapie diverse da quelle che la comunità scientifica di stato ammette, etc.., fanno tutte parte di una grande questione liberale del diritto di scelta su come curarsi e su come vivere. Le diverse fazioni, quelle che mosse da un impulso religioso e spirituale, ammettono l’accanimento terapeutico ma non l’eutanasia, e quelle mosse da convinzioni mediche “scientifiche” (la medicina non è una scienza il termine è usato in modo improprio), che vogliono che sia perseguita la volontà del paziente solo quando si tratta di morire o di seguire la terapia di stato, farebbero un passo da gigante se si accorgessero di questa cosa.

La libertà di cura è alla base di una democrazia liberale. Imporre, per qualsiasi motivo una terapia è l’anticamera della “non-democrazia“. Questa visione prevede uno stato etico che vuole pretendere di sapere ciò che è giusto per te, sulla base di una standardizzazione della massa, studiata scientificamente e socialmente.

Ivan Catalano

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